Diritto di accesso agli atti

L’art. 22, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241, definisce l’accesso ai documenti amministrativi, ma pur prevedendo il diritto di accesso agli atti della Pubblica amministrazione a chiunque vi abbia interesse, introduce un’azione popolare volta a consentire un controllo generalizzato sull’attività amministrativa. Va accolta una nozione ampia di “strumentalità” del diritto di accesso alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso.

Accanto all’interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa deve comunque stagliarsi nitido un rapporto di necessaria strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione. L’interesse all’accesso deve sempre configurarsi come diretto, concreto, attuale e corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

Consiglio di Stato Sezione Quarta, Sentenza 4838 del 19/10/2017.

NORME DI LEGGE

Articolo 22 L. 7 agosto 1990, n. 241.

1.Ai fini del presente capo si intende:

a) per “diritto di accesso”, il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;

b) per “interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso;

c) per “controinteressati”, tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;

d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale;

e) per “pubblica amministrazione”, tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.

2. L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.

3. Tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.

4. Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono.

5. L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, ove non rientrante nella previsione dell’articolo 43, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, si informa al principio di leale cooperazione istituzionale.

6. Il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere.

GIURISPRUDENZA

Consiglio di Stato Sezione Quarta, Sentenza 4838 del 19/10/2017.

sul ricorso numero di registro generale n. 1142 del 2017, proposto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Dario De Blasi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza Paganica, 13;

per la riforma della sentenza del T.A.R. per il LAZIO – ROMA – SEZIONE III TER, n. 11450/2016, resa tra le parti, concernente il diniego avverso l’istanza di accesso agli atti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della dott.ssa -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 il consigliere Daniela Di Carlo e udito per la parte appellata l’avvocato D. De Blasi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

La controversia riguarda l’impugnazione, da parte della dott.ssa -OMISSIS-, del provvedimento del 23 novembre 2015 con cui il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha respinto la sua istanza di accesso ai curricula, all’elenco dei titoli di servizio e degli incarichi svolti dagli altri candidati e ai verbali della commissione contenenti i giudizi e le valutazioni dei suddetti candidati nell’ambito della procedura di promozione al grado di Consigliere d’Ambasciata.

Il Tar per il Lazio, Roma, sezione III Ter, con la sentenza n. 11450 del 17 novembre 2016 ha:

a) accolto il ricorso e, per l’effetto, annullato il provvedimento impugnato;

b) ai sensi dell’art. 116, comma 4, c.p.a. ordinato al Ministero resistente di consentire alla ricorrente l’accesso agli atti richiesti;

c) condannato il Ministero resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite liquidate in euro 2.000,00 oltre accessori di legge;

d) compensato le spese di lite tra la ricorrente e i controinteressati.

Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha impugnato la sentenza ritenendo erroneo il ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure e ne ha domandato l’integrale riforma, vinte le spese di lite del doppio grado.

Si è costituita -OMISSIS- chiedendo dichiararsi l’irricevibilità, l’improcedibilità, l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza, nel merito, del ricorso, con il favore delle spese di lite.

La signora -OMISSIS- ha ulteriormente insistito nella propria tesi difensiva mediante il deposito di una memoria integrativa.

All’udienza dell’8 giugno 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal collegio in decisione.

I motivi di appello.

7.1. Col primo motivo sono dedotti: “Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 24, commi 1, 2 e 6, lettere a) e d), della legge n. 241/1990 – Violazione e falsa applicazione dei D.M. n. 604 del 1994 n. 311/2003 e del D.P.R. n. 184/2006 – Illogicità e contraddittorietà manifesta”.

7.2. Col secondo mezzo vengono lamentati: “Error in iudicando – Errata interpretazione della normativa sulle promozioni a Consigliere d’Ambasciata (art. 108 del d.p.r. n. 18 del 1967) – Mancanza del nesso di necessarietà e strumentalità tra pretese dell’interessata e accesso alla documentazione dei controinteressati – Mancanza del requisito dell’eminenza in capo all’interessata – Idoneità e sufficienza dei documenti già consegnati dall’amministrazione”.

7.3. Col terzo motivo vengono censurati: “Error in iudicando – Violazione della normativa in materia di promozione al grado di Consigliere d’Ambasciata (in particolare, art. 108 del d.p.r. n. 18/1967) – Procedura non specificamente comparativa”.

8. I motivi di appello possono essere scrutinati congiuntamente a motivo dell’unitarietà logico-giuridica sottesa alle questioni dedotte.

L’appellante premette che il Consigliere di Legazione -OMISSIS- ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato per l’annullamento del decreto ministeriale di promozione al grado di Consigliere d’Ambasciata del 2015, ricorso esitato in un decreto di respingimento, giusto parere di questo Consiglio di Stato, a motivo della riconosciuta non manifesta incoerenza e illogicità del giudizio, espresso dalla commissione giudicatrice ai sensi dell’art. 105, comma 1, del d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 18, di non eminenza del profilo professionale della candidata.

Precisa l’appellante che l’anzidetta delibazione, da parte della commissione giudicatrice, ha riguardato in via esclusiva il profilo personale del consigliere -OMISSIS-, senza che sia intervenuta alcuna comparazione con gli altri funzionari scrutinati. La comparazione – ha aggiunto – avviene soltanto ex post, tra i soli candidati che hanno conseguito il giudizio di eminenza e al mero fine di potere stilare una graduatoria utile al loro posizionamento in bollettino.

Pertanto, conclude l’appellante, gli elementi considerati dalla commissione per giungere al giudizio di non eminenza sul Consigliere di Legazione -OMISSIS- erano tutti, fin dall’origine, immediatamente enucleabili dai documenti messi a disposizione da parte dell’amministrazione di appartenenza, senza alcuna necessità di richiesta di ulteriore acquisizione documentale che concernesse i curricula, l’elenco dei titoli di servizio e gli incarichi svolti dagli altri candidati, nonché i verbali della commissione contenenti i giudizi e le valutazioni dei suddetti candidati.

A parere dell’appellante, pertanto, erra il giudice di prime cure nel ritenere che la ricorrente sia titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso, identificabile nella necessità di tutelare le pretese scaturenti dalla partecipazione della -OMISSIS- alla procedura per la nomina a consigliere di Ambasciata e dal mancato conseguimento dell’incarico che è stato, invece, ottenuto dai controinteressati.

9. L’appello è fondato e merita accoglimento per le seguenti ragioni.

Va premesso, per un migliore inquadramento giuridico della fattispecie all’esame, che l’art. 22, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241, definisce l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, quale principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.

Il successivo comma 3 introduce il principio della massima ostensione dei documenti amministrativi, salve le limitazioni giustificate dalla necessità di contemperare il suddetto interesse con altri interessi meritevoli di tutela (art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6 della medesima legge).

Pur prevedendo il diritto di accesso agli atti della Pubblica amministrazione a chiunque vi abbia interesse, il Legislatore non ha tuttavia voluto introdurre un’azione popolare volta a consentire un controllo generalizzato sull’attività amministrativa. A riprova di ciò la previsione, specifica, che l’interesse all’ostensione deve essere finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti: a norma dell’art. 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990, infatti, vengono definiti “interessati” all’accesso non tutti i soggetti indiscriminatamente, ma soltanto i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (ex multis, per le applicazioni del principio, tra i precedenti più recenti, Consiglio di Stato, sez. V, 21 agosto 2017, n. 4043).

Il successivo art. 24 della medesima legge regola i casi di esclusione dal diritto di accesso.

A norma del primo comma del citato articolo, tra le altre ipotesi, il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.

Il comma 7 precisa, tuttavia, che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’ articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Analogamente dispone l’art. 4, comma 1, lett. b) del D.M. 7 settembre 1994, n. 604 (Regolamento recante norme per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241), a tenore del quale, in relazione all’esigenza di salvaguardare notizie concernenti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese, associazioni, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici, sono sottratte all’accesso, tra le altre, le seguenti categorie di documenti: a) documenti concernenti giudizi o valutazioni relativi a procedure non concorsuali concernenti il personale destinatario delle attività di formazione dell’istituto diplomatico; b) rapporti informativi sul personale del Ministero nonché note caratteristiche a qualsiasi titolo compilate sul predetto personale.

Secondo il costante e indiscusso orientamento di questo Consiglio di Stato e, più in generale, della giustizia amministrativa, “Va accolta una nozione ampia di “strumentalità” del diritto di accesso, nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso, non imponendosi che l’accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata “strumentalità” va intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante” (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; Consiglio di Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269; Consiglio di Stato, sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209).

Si osserva in giurisprudenza, ancora del tutto pacificamente, che il suddetto legame tra la finalità dichiarata e il documento richiesto è rimessa alla valutazione dell’ente, in sede di amministrazione attiva, e del giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva. Valutazione che va effettuata in astratto, senza apprezzamenti diretti (e indebiti) sulla documentazione richiesta.

Arresto interpretativo altrettanto indiscusso e condivisibile è quello secondo cui la necessaria sussistenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto di accedere, non implica nemmeno la riduzione dell’accesso ad una situazione meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio della situazione sottostante. “L’accesso, in tal senso, assume invece una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre; ed invero, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, introdotto dalla l. 7 agosto 1990 n. 241, a norma dell’art. 22 comma 2 della stessa legge, come sostituito dall’art. 15, l. 11 febbraio 2005 n. 15, costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, il quale si colloca in un sistema ispirato al contemperamento delle esigenze di celerità ed efficienza dell’azione amministrativa con i principi di partecipazione e di concreta conoscibilità della funzione pubblica da parte dell’amministrato, basato sul riconoscimento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi. In quest’ottica, il collegamento tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza, di cui al cit. art. 22, comma 1, lett. b), non può che essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse” (Consiglio di Stato, sez. III, 13 gennaio 2012, n. 116).

Si tratta, all’evidenza, di principi irrinunciabili e fondanti, nell’ambito del moderno Stato di diritto, un nuovo modo di concepire il rapporto tra cittadini e potere pubblico, improntato a trasparenza e accessibilità dei dati e delle informazioni, anche ove queste riguardino terzi soggetti, purché a soddisfazione di un interesse (come visto, nemmeno più strumentale alla mera difesa in giudizio delle proprie posizioni), purché giuridicamente rilevante e meritevole di tutela.

Ciò premesso e considerato, la valorizzazione del principio della massima ostensione, tuttavia, non può essere estesa fino al punto da legittimare un controllo generalizzato, generico e indistinto del singolo sull’operato dell’amministrazione.

Accanto all’interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa, infatti, deve stagliarsi nitido un rapporto di necessaria strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione. L’interesse all’accesso, infatti, deve pur sempre configurarsi come diretto, concreto, attuale e corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

Nel caso di specie, l’anzidetto requisito appare difettare, sicché i richiamati arresti, pur autorevoli, di questo Consiglio di Stato, non si attagliano decisamente alla fattispecie all’esame e non possono, rispetto a questa, rivestire alcun valore di precedente.

I precedenti citati, infatti, sono stati pronunciati in relazione a casi pratici in cui è stata ravvisata come esistente una relazione di strumentalità, sia pure attenuata, tra l’interesse all’accesso (che deve pur sempre configurarsi come diretto, concreto, attuale e corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata) e il documento collegato rispetto al quale è chiesto l’accesso medesimo.

Nel caso de quo tale relazione non può dirsi sussistente.

Il Consigliere di Legazione -OMISSIS-, all’indomani della mancata promozione a Consigliere d’Ambasciata, ha presentato una prima istanza di accesso agli atti, volta ad ottenere copia del decreto ministeriale di promozione e della connessa documentazione.

In risposta all’istanza l’amministrazione ha consentito all’interessata l’accesso ai verbali redatti dalla commissione nel mese di luglio 2015, aventi ad oggetto il giudizio negativo espresso nei suoi riguardi (il cd. medaglione).

Non soddisfatta, l’istante ha presentato nuova richiesta di accesso volta a rendere ostensibili i nominativi, i curricula, l’elenco dei titoli di servizio, gli incarichi svolti relativi agli altri candidati e i verbali redatti dalla commissione contenenti i giudizi sugli anzidetti.

È avverso il diniego di accesso a tali ultimi atti che trae origine l’odierna controversia.

Al fine di escludere o affermare se la conoscenza di tali atti (che, pacificamente, riguardano i profili personali e professionali di terzi soggetti) è necessaria e strumentale per la tutela della posizione giuridica della -OMISSIS-, è fondamentale inquadrare sul piano giuridico la procedura di promozione al grado di Consigliere d’Ambasciata.

L’art. 105 del d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 18, recante “Ordinamento dell’amministrazione degli affari esteri”, prevede che “Per l’avanzamento al grado superiore il funzionario diplomatico, oltre ad aver disimpegnato egregiamente le funzioni del proprio grado, deve possedere i requisiti di carattere, intellettuali e di cultura, di preparazione e di formazione professionale necessari alle nuove funzioni. Per la promozione al grado di consigliere di ambasciata e le nomine ai gradi superiori i predetti requisiti debbono essere posseduti in modo eminente, in relazione alle funzioni di alta responsabilità da esercitare”.

Pertanto, la commissione si è autodeterminata e vincolata a valutare, in un primo momento, i singoli profili personali e professionali degli aspiranti, onde verificare il possesso degli anzidetti requisiti in modo eminente; e, in un successivo momento, nella fase propriamente comparativa, a nominare in ordine di importanza e nei limiti dei posti disponibili nel grado a cui si deve accedere, coloro che, già in possesso di un giudizio di eminenza, presentassero una valutazione complessiva globale comparativamente migliore.

Il Consigliere di Legazione -OMISSIS-, nel mentre ricorreva dinanzi al giudice amministrativo avverso il diniego di accesso agli atti, proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso il decreto ministeriale avente ad oggetto l’elenco dei consiglieri di legazione promossi al grado di consigliere di ambasciata dal 2 luglio 2015.

Questo Consiglio di Stato, adito per rendere il prescritto parere, non ha ravvisato profili di manifesta irragionevolezza o illogicità, d’immediata apprezzabilità, nel giudizio di “incompleta maturazione professionale” formulato dalla commissione, tenendo a precisare che il suddetto giudizio (che richiamava in primo luogo le valutazioni espresse dagli estensori dei rapporti informativi e delle schede di valutazione, nonché i giudizi complessivi attribuiti dal Consiglio d’amministrazione) esitava in una valutazione di non eminenza a motivo del fatto che la dott.ssa -OMISSIS- non aveva quasi mai conseguito il punteggio massimo nel grado di segretario di legazione, e aggiungendo, dopo il rilievo della mancata votazione per tre dei sette anni di servizio nel grado, la presenza di un giudizio attenuato (“molto positivo” rispetto al massimo di “particolarmente positivo”) nell’anno precedente lo scrutinio.

Del resto, lo stesso parere (reso nell’adunanza di sezione del 18 maggio 2016), non mancava di sottolineare che la ricorrente medesima si era riservata di formulare, in esito all’accesso agli atti richiesto all’amministrazione, motivi aggiunti integrativi, mai pervenuti.

Era in tale giudizio che la ricorrente avrebbe dovuto e potuto (disponendo, all’epoca, di tutti i documenti inerenti il proprio profilo personale e professionale) impugnare il giudizio di non eminenza contenuto nel proprio “medaglione”, trattandosi di giudizio – questo – eseguito dalla commissione in modo autonomo per tutti gli aspiranti consiglieri d’Ambasciata. La comparazione dei profili, infatti, si sarebbe resa necessaria, all’esito, attesa la limitatezza delle nomine, solo tra coloro che avessero positivamente conseguito il giudizio di eminenza.

L’esito del ricorso straordinario al Capo dello Stato, pertanto, avalla e conferma la conclusione della sostanziale irrilevanza e inconferenza dell’accesso ai documenti richiesti da parte della dott.ssa -OMISSIS-, giacché essi non risultano strumentali, nemmeno in modo mediato e indiretto, alla tutela di una sua qualsivoglia posizione giuridica soggettiva.

Difetta in capo alla medesima, infatti, la titolarità di quella posizione giuridica (l’acquisto della qualità di eminenza) che, unica, le avrebbe consentito di reclamare, in via successiva, il diritto di accedere ai documenti riguardanti altri aspiranti al fine dell’ottenimento di un’eventuale sua migliore collocazione in graduatoria.

Esito diverso, pertanto, avrebbe sortito la sua istanza di accesso agli atti ove, conseguito il giudizio di eminenza, avesse poi effettivamente concorso rispetto agli altri candidati, in via competitiva, per guadagnarsi un posto utile nella graduatoria di merito; ovvero, in ipotesi – come è accaduto – di diniego del giudizio di eminenza, avesse correttamente impugnato il proprio medaglione e dimostrato l’illogicità o l’irrazionalità della scelta di negarle tale positiva valutazione.

Nel caso di specie, invece, l’anzidetta illogicità o irrazionalità sono state definitivamente escluse, sicché difetta in assoluto quel nesso di necessaria strumentalità che deve avvincere la richiesta di ostensione rispetto al documento cui si intende accedere.

Del resto, come sopra ampiamente richiamato, pur essendo questo Consiglio di Stato giunto, negli anni, all’enucleazione di una nozione sempre più ampia del concetto della “strumentalità” del diritto di accesso, comunque non può essere obliterato il richiamo, positivamente stabilito, alla finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269).

10. L’accoglimento dell’appello importa la riforma della sentenza impugnata.

11. Le spese di lite del doppio grado possono essere equitativamente compensate in ragione della complessità ricostruttiva della vicenda in punto di fatto e di diritto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona della parte appellata.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore