Quando il denaro indebitamente ottenuto viene reinvestito in attività di tipo commerciale, i profitti di tale attività risultano inquinati dalla metodologia di reinvestimento dei capitali frutto delle pregresse attività criminose o elusive della normativa tributaria. In tema di misure di prevenzione, infatti, colui che è dedito in modo continuativo a condotte di evasione degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), sicché i beni a lui derivanti dal reinvestimento della provvista finanziaria illecitamente realizzata possono essere oggetto di confisca, in quanto provento di delitto.
Cassazione penale sez. II, 9/12/2022 n.3132.
NORME DI LEGGE
Codice Penale Art. 644 – Usura.
[I]. Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.
[II]. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.
[III]. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.
[IV]. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.
[V]. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:
1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;
2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;
3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;
5) se il reato è commesso da una persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione.
[VI]. Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni.
GIURISPRUDENZA
Cassazione penale sez. II, 9/12/2022 n.3132.
Fatto
F.E., quale proposto e P.A., quale terzo interessato, ricorrono avverso il decreto di confisca della Corte di Appello di Caltanissetta del 16/5/2022, che, in parziale riforma del decreto emesso dal Tribunale di Caltanissetta, Sezione Misure di Prevenzione, del 23/12/2020, ha disposto il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto dei beni ivi indicati, confermando nel resto il decreto impugnato con riguardo alle altre attività economiche, partecipazioni ed immobili oggetto di sequestro. In particolare, la Corte territoriale ha posto a fondamento della parziale riforma del provvedimento del primo giudice una più ristretta perimetrazione temporale della pericolosità sociale del proposto, ricondotta al periodo dal 2003 al 2016, con conseguente dissequestro dei beni da questi non acquisiti, direttamente o indirettamente, in tale arco temporale.
1.Il difensore di F.E. deduce:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 4, comma 1, lett. c), ed all’art. 1, lett. b), relativamente alla individuazione della pericolosità sociale del proposto. Premesso che la richiesta per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale era accolta con riferimento alla pericolosità semplice, riconducibile alle categorie indicate nell’art. 1 citato, lamenta come la Corte di appello abbia sostanzialmente individuato la categoria di pericolosità sociale riferibile al ricorrente in quella di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. a), dichiarata costituzionalmente illegittima (Corte Cost., sentenza n. 24 del 2019) e, quindi, abrogata;
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 4, comma 1, lett. c) ed all’art. 1, lett. b), per la mancata individuazione degli elementi di fatto a cui ancorare il giudizio di pericolosità sociale del proposto. Si lamenta che l’accertamento della pericolosità, lungi dal fondarsi su un giudizio di fatto ancorato alla ricostruzione delle condotte materiali dimostrative della pericolosità sociale, sia stato fondato su sospetti, congetture ed illazioni e che, trattandosi di pericolosità generica e non qualificata, neppure poteva tale condizione essere ricavata da fatti la cui illiceità era stata esclusa con sentenza irrevocabile di assoluzione. In particolare, con riguardo agli esiti assolutori relativi ai giudizi tributari si lamenta per un verso l’assenza di idoneità degli elementi di prova ivi emersi a fondare un giudizio autonomo di pericolosità e, per altro, si sottolinea come lo status di evasore fiscale non è di per sé sufficiente ai fini del giudizio di pericolosità generica, richiedendosi, al fine di stabilire se il proposto viva abitualmente con i proventi dell’attività delittuosa, che il reato tributario sia generatrice di un profitto e non meramente volto ad evitare il pagamento delle imposte riferite ai redditi lecitamente prodotti; parimenti privo di alcuna valenza dimostrativa era il riferimento ai procedimenti pendenti in relazione ad una truffa commessa nel 2015 relativa alla compravendita di due autovetture e ad una bancarotta fraudolenta ove era stato allegato solo la richiesta di rinvio a giudizio relativa a società fallita nel 2016 in cui il ricorrente aveva assunto le funzioni di amministratore di diritto sino al 31 dicembre 2013;
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 4, comma 1, lett. c) ed all’art. 1, lett. b), con riferimento alla omessa individuazione di una “condotta ed un tenore di vita” del proposto riferibili all’utilizzo abituale di proventi di attività delittuose. A tale riguardo privi di valenza erano i fatti (commessi tra il dicembre 2002 e l’agosto 2003) oggetto di una condanna per il reato di illecito trattamento di dati personali di cui al D.Lgs. n. 163 del 2003, art. 167, comma 1, in quanto si trattava di reato non contro il patrimonio e che non aveva generato alcun profitto illecito; parimenti priva di valenza dimostrativa, in assenza dell’indicazione di nuovi e pregnanti elementi, era la condanna pronunciata dal Tribunale di Nicosia per truffa poiché il fatto era stato già esaminato e ritenuto non significativo ai fini della pericolosità dal Tribunale di Enna con decreto del 23/01/2008 con cui aveva rigettato la richiesta di applicazione della sorveglianza speciale formulata dal Questore. Conseguente violazione di legge per la errata individuazione del perimetro temporale dell’ablazione dei beni per la misura di prevenzione patrimoniale.
2.Il difensore e procuratore speciale di P.A. deduce:
– mancanza di motivazione ovvero motivazione apparente e, in ogni caso, per motivazione incoerente, contraddittoria, illogica e disposta con travisamento dei dati processuali del procedimento, in violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c), d) ed e). La doglianza investe, dapprima, la sussistenza delle condizioni per affermare la pericolosità generica del proposto quale presupposto della disposta confisca e, poi, la riconducibilità del terreno acquistato dal ricorrente, nella qualità di legale rappresentante della A I. s.r.l. ed oggetto di confisca, alla disponibilità del proposto F.E.. Al riguardo, si lamenta che la Corte di merito, per un verso, ha omesso di apprezzare l’esistenza di plurimi indici dimostrativi della realità dell’acquisto in capo alla società del ricorrente e, per altro, dato rilievo a dati in realtà smentiti dagli elementi probatori acquisiti ovvero fondati su un manifesto error in iudicando in punto di corretta interpretazione del contratto e degli effetti legati alla condizione sospensiva ivi apposta dalle parti ai fini dell’esclusione del passaggio di proprietà del terreno in capo al ricorrente.
3.Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria del 23/11/2022, sul rilievo dell’infondatezza dei motivi dedotti, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
1.Ricorso di F.E..
1.1. Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che la Corte di appello, richiamando le considerazioni poste a fondamento del decreto di confisca emesso dal Tribunale di Caltanissetta, che ha inquadrato la pericolosità sociale del proposto nella categoria di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), evidenziando la commissione di reati produttivi di reddito ed ulteriori condotte rilevanti produttive di profitti comunque inquinati dalle pregresse attività criminose o elusive della normativa tributaria – ha confermato tale giudizio e, mostrando di confrontarsi con le deduzioni difensive, riproposte in sede di ricorso, ha rilevato come potessero valorizzarsi anche gli elementi emergenti dal processo penale conclusosi con assoluzione e quelli di cui ai processi pendenti.
In particolare, la Corte territoriale ha sottolineato la presenza di numerose condotte di carattere lucro-genetico compiute negli anni in contestazione dal proposto, tra cui, in particolare: le condotte di truffa commesse nel giugno 2003 e di traffico illecito di dati, di cui alla sentenza irrevocabile del Tribunale di Nicosia del 29/4/2008, produttiva di profitto – nei termini specificamente indicati essendosi evidenziato come, con riguardo al reato inerente alla disciplina a tutela della privacy, il ricorrente ne ricavasse delle provvigioni; le condotte di usura, per le quali era intervenuta sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Enna del 29/11/2017, reato commesso negli anni 2004 e 2008; le condotte relative ai procedimenti pendenti per il reato di usura relativo agli anni 2006 e 2007, e le denunce per i reati di infedele dichiarazione ed esercizio abusivo di attività finanziaria tra il 2008 ed il 2011, in relazione alle quali vi era stata sentenza di assoluzione, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, del Tribunale di Enna del 26/7/2018; ed ancora, la denuncia per truffa e riciclaggio commessi nel 2015, e le condotte di cui al rinvio a giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta nella qualità di amministratore prima di diritto e poi di fatto della società (Omissis) s.r.l. dichiarata fallita nel febbraio 2016.
Si tratta di un complesso di elementi altamente dimostrativi di come il proposto abbia nel corso degli anni, certamente nel periodo dal 2003 al 2016, gestito molteplici attività, compiuto numerose operazioni bancarie con movimentazioni notevoli di denaro non riconducibili alle sue attività lecite, e ottenuto profitti non indifferenti, anche tramite prestanome, non dichiarandoli al fisco, assunto dato per scontato anche dalla sentenza di assoluzione richiamata dallo stesso ricorrente. Non si è, dunque, fatto riferimento ad una redditività lecitamente prodotta ma al contempo non dichiarata, ma a costanti flussi economici provento di illecito che hanno consentito nel tempo la creazione di una provvista finanziaria successivamente reinvestita in attività economiche.
Si è, dunque, fatta corretta applicazione del principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui, quando il denaro indebitamente ottenuto viene reinvestito in attività di tipo commerciale, i profitti di tale attività risultano inquinati dalla metodologia di reinvestimento dei capitali frutto delle pregresse attività criminose o elusive della normativa tributaria. In tema di misure di prevenzione, infatti, colui che è dedito in modo continuativo a condotte di evasione degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), sicché i beni a lui derivanti dal reinvestimento della provvista finanziaria illecitamente realizzata possono essere oggetto di confisca, in quanto provento di delitto (Sez. 1, n. 20160 del 16/11/2021, dep. 2022, Bonaffini, Rv. 283089 – 01; Sez. 2, n. 13566 del 19/2/2019, PG c/Maccione, Rv. 275771 – 01).
Peraltro, con riferimento agli esiti assolutori dei procedimenti di carattere tributario, la censura risulta anche generica, in quanto omette di confrontarsi con le specifiche argomentazioni in forza delle quali il giudice della prevenzione è pervenuto a valorizzare, in punto di valenza indiziaria, gli elementi di fatto comunque emersi ed accertati in quei giudizi, in modo non affatto distonico con il giudicato penale di carattere favorevole. In particolare, si è sottolineato come l’assoluzione non traesse origine dall’acquisizione di una prova positiva delle giustificazioni causali poste a fondamento delle movimentazioni riconducibili ai conti del ricorrente ovvero alle operazioni cd. extra-conto connessi a tali rapporti bancari, ma, in realtà, da un omesso approfondimento, da parte degli inquirenti, dell’esistenza delle causali sottostanti. E ciò non tanto per una lacuna delle indagini svolte, bensì per il presupposto da cui scaturiva il procedimento penale, trattandosi di un processo verbale di constatazione che aveva dato origine ad un avviso di accertamento emesso sulla scorta della presunzione di carattere tributario di cui al previgente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in forza i dati e gli elementi risultanti dalle movimentazioni dei conti correnti bancari riferibili al contribuente assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, salvo che il titolare di detti conti non fornisca adeguata giustificazione.
Di conseguenza, non avendo quegli elementi che avevano determinato la contestazione tributaria rinvenuto una smentita positiva nel corso del processo penale quanto alla loro esistenza, correttamente il giudice della prevenzione ne ha apprezzato, in termini di persistente efficacia, la valenza indiziaria. In assenza, infatti, di una negazione dei fatti, è possibile, sia pure nei più ristretti ambiti del giudizio di pericolosità sociale generica, e nei termini utilizzati nel decreto impugnato, valutare gli stessi nell’ambito del giudizio di prevenzione ai fini dell’accertamento in ordine alla pericolosità sociale del proposto, che non presuppone un compiuto accertamento della responsabilità penale (Sez. 2, n. 25042 del 28/04/2022, Amandonico, Rv. 283559 – 03). Pertanto, anche in tal caso, la Corte di appello, risulta avere fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte di legittimità a mente del quale, attesa l’autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, il giudice può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità generica del proposto ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (ex multis, Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862 – 01; Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Staniscia, Rv. 282655 – 01).
Manifestamente infondata è, altresì, la censura relativa all’utilizzo, nei confronti del ricorrente, di quanto statuito nella sentenza di condanna per truffa pronunciata dal Tribunale di Enna, sul rilievo preclusivo costituito dall’esistenza di un precedente giudicato favorevole, essendo stati gli esiti di tale procedimento ritenuti insufficienti ad accogliere una precedente proposta per l’applicazione della misura di prevenzione avanzata dal Questore. Sul punto può richiamarsi proprio l’orientamento citato dal ricorrente a sostegno della sua doglianza che, invero, milita in senso contrario. In materia di misure prevenzione, l’intangibilità del giudicato opera “rebus sic stantibus” e non impedisce, pertanto, né l’esame di nuove e diverse circostanze, sopravvenute o emerse successivamente, anche se anteriori, né la valutazione, nella nuova situazione, di tutte le circostanze, comprese quelle considerate nella precedente decisione, al fine di applicare una misura in precedenza negata ovvero una misura più grave di quella già inflitta. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione che aveva disposto la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di alcuni beni, in considerazione della sproporzione del valore degli stessi rispetto al reddito, ed in relazione ai quali, in precedenza, identica richiesta era stata invece rigettata per mancanza della prova della natura illecita delle risorse impiegate per gli acquisti; Sez. 5, n. 16019 del 23/2/2015, Di Trapani, Rv. 263269 – 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha evidenziato come tali emergenze si iscrivano, alla luce degli ulteriori e pregnanti elementi acquisiti nel presente giudizio, quali antecedenti del complessivo progetto criminoso di vita del proposto successivamente venuto ad emersione. Si è, quindi, operata una lettura unitaria dei fatti ritenuti illo tempore di per sé non decisivi, con gli altri, giungendo quindi ad un differente risultato sulla scorta di un diverso giudizio connotato da aspetti di novità.
E quanto, poi, alla sproporzione, la Corte territoriale ha richiamato la valutazione del Tribunale, aderente alle conclusioni del perito in ordine all’analisi dei flussi finanziari, ed alla valutazione del rapporto tra redditi dichiarati e compendio patrimoniale, elementi ampiamente riportati nel decreto impugnato che non rinvengono specifiche censure nei motivi di ricorso.
Infine, a fronte del richiamo di un complesso di condotte di carattere lucro-genetico attribuite al proposto, i rilievi – peraltro privi delle necessarie allegazioni – svolti in punto di pregnanza dei riferimenti giudiziari operati dal decreto impugnato al reato di truffa commesso nel 2015 e al procedimento per bancarotta fraudolenta in corso, risultano privi della necessaria decisività. E tanto a prescindere dal rilievo che la Corte territoriale, in relazione al procedimento per bancarotta riferisce dell’avvenuto rinvio a giudizio e, dunque, del superamento del vaglio dell’udienza preliminare, con esclusione dell’insufficienza od inidoneità degli elementi posti a fondamento dell’esercizio dell’azione penale. Del resto, la possibilità di trarre elementi di pericolosità dai procedimenti pendenti e dalle stesse segnalazioni e denunce nei confronti del proposto trova conferma nelle pronunce di questa Suprema Corte, essendosi di recente affermato (in motivazione da Sez. 5, sentenza n. 39810 del 2022) “… secondo ius receptum, il giudice della misura di prevenzione può valorizzare, nella fase “constatativa”, dati conoscitivi non presi in considerazione in alcun procedimento penale, così come quelli valutati in procedimenti penali non definitivi (cfr. tra le altre Sez. 6, n. 36216 del 13/07/2017, Schiraldi, Rv. 271372) ovvero in procedimenti definiti con decreti di archiviazione o declaratorie di estinzione del reato per prescrizione, in quanto solo l’accertamento negativo contenuto in una sentenza irrevocabile di assoluzione impedisce di assumere una determinata condotta come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità sociale (…)”.
In tali termini, la ritenuta utilizzabilità degli uni e degli altri elementi, in uno alla valutazione di quelli emergenti dalle condanne riportate dal ricorrente ed alla natura delle condotte realizzate – come osservato dalla Corte territoriale sempre aventi ad oggetto attività di movimentazione di denaro e comunque produttiva di profitto – appare tale da fare ritenere sussistenti i requisiti, fondati su elementi oggettivi, che consentano di individuare la categoria di pericolosità sociale in quella di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b), riconosciuta dai giudici della prevenzione.
Manifestamente infondate risultano, pertanto, le censure difensive in relazione alla dedotta individuazione in fatto, sulla base di quanto indicato nel decreto impugnato, della diversa categoria di pericolosità sociale da parte dei giudici della prevenzione. Sul punto, invero, non appaiono emergere ulteriori elementi idonei ad incidere sulle conclusioni a cui perviene il decreto impugnato, in particolare in relazione alla abitualità – emergente dalla pluralità di condotte evidenziate dai Giudici della prevenzione valutate anche in fatto come produttive di profitto – ed alla rilevanza di elementi che, già presenti in diverso procedimento, nell’ambito di un complessivo esame possano concorrere a sostanziare i presupposti applicativi della misura. In tali termini, le conclusioni a cui perviene il decreto impugnato appaiono immuni da censure.
1.2. Ad analoghe conclusioni può pervenirsi in relazione al profilo della perimetrazione della pericolosità sociale del proposto, valutata dalla Corte di appello in termini temporali più ristretti rispetto a quanto indicato dal Tribunale, ma valorizzandosi – per come in precedenza osservato – elementi di fatto ceti e non meramente congetturali, della effettiva manifestazione del modus vivendi del proposto e della sua famiglia, quali idonei presupposti per l’espresso giudizio di pericolosità sociale. Sul punto, peraltro, del tutto generica è la doglianza volta ad escludere indiziario rilievo alla condanna del proposto pronunciata dal Tribunale di Nicosia con sentenza irrevocabile del 29/4/2008 per il reato di illecito trattamento dei dati personali. Il fatto che non si tratterebbe di delitto contro il patrimonio non idoneo a generare alcun profitto illecito è smentito dalla precisa ricostruzione operata dal decreto impugnato – con cui il ricorrente omette di confrontarsi – che, invece, nel ricostruire il meccanismo illecito a cui aveva dato origine il proposto (attivazione illecita di numerose schede telefoniche), ha evidenziato come da una tale condotta questi ne aveva tratto un vantaggio economico, beneficiando delle relative provvigioni, nell’ambito di un meccanismo a vasto raggio di tipo consolidato, finalizzato anche ad ostacolare il lavoro delle forze dell’ordine in quanto delle schede telefoniche pulite beneficiavano anche soggetti pregiudicati.
Ne’ colgono nel segno gli ulteriori rilievi, volti a censurare la pregnanza contenutistica degli elementi indiziari correttamente tratti dai procedimenti penali di cui si è in precedenza trattato, ed in relazione alle quali valgono gli stessi rilievi di manifesta infondatezza espressi in ordine al giudizio di pericolosità generica.
2.Ricorso di P.A..
2.1. Inammissibili per difetto di legittimazione attiva sono le doglianze svolte in ordine alla sussistenza dei presupposti attinenti all’applicazione della misura di prevenzione nei confronti del proposto. Al riguardo, può richiamarsi il principio espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui nel caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati ad un terzo, questi può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, mentre non è legittimato a sostenere che il bene sia di effettiva proprietà del proposto, essendo del tutto estraneo ad ogni questione giuridica relativa ai presupposti per l’applicazione della misura nei confronti di quest’ultimo – quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato ed il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso – e che solo costui può avere interesse a far valere (Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Icardi, Rv. 280249 – 01; Sez. 6, n. 7469 del 4/6/2019, dep. 2020, Hudorovic, Rv. 278454 – 03).
2.2. Quanto invece al profilo della dedotta assenza della natura fittizia della titolarità del terreno sito in Acireale, in località (Omissis), oggetto di preliminare di vendita stipulato il 5 ottobre 2012 con il proposto, ovvero di simulazione del trasferimento immobiliare, la Corte di appello ha evidenziato come elementi decisivi e non contestabili fossero l’indisponibilità economica in capo al proposto in quel periodo di somme di provenienza lecita – richiamando sul punto gli esiti delle perizia disposta con particolare riferimento all’acquisto del terreno in esame (v pag. 42 del provvedimento impugnato) -, tali da consentirgli l’acquisto del bene, ed il mancato avverarsi della condizione sospensiva apposta, tale da impedirne il passaggio al terzo interessato ricorrente.
A fronte di tali argomenti, il ricorso risulta volto a reiterare le medesime questioni dedotte con l’atto di appello, di cui il provvedimento impugnato ha dato atto (v. pagg. 39-41) e che ha ritenuto non rilevanti sulla scorta degli elementi sopra evidenziati ritenuti assumere valenza decisiva.
Viene al riguardo in rilievo il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui il giudice dell’impugnazione non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (ex multis, Sez. 2, n. 29434 del 19/5/2004, Candiano ed altri, Rv. 229220 – 01; Sez. 4, n. 26660 del 13/5/2011, Caruso e altro, Rv. 250900 – 01; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià e altri, Rv. 254107 – 01).
Pertanto, al di là delle evidenziate rilevanti incongruenze dei dati riportati nell’atto e di quelle relative alla conclusione della vendita al ricorrente del bene che non appaiono incise, sotto il profilo della violazione di legge, dalle deduzioni difensive che finiscono per investire i profili di merito e di carattere valutativo della ricostruzione della vicenda – la riproposizione delle censure relative alle ragioni dell’apposizione della condizione al contratto preliminare – legata a dichiarate ragioni di natura fiscale – ed agli effetti della stessa, all’interesse reale all’acquisto, e al possesso del bene, non appare comunque idonea a superare i dati di carattere decisivo posti a fondamento della decisione impugnata e in premessa richiamati. La prospettazione difensiva, infatti, volta a dimostrare la realità dell’operazione negoziale e la insita vocazione edificatoria del terreno oggetto di alienazione, muove dalla necessaria rilettura delle fonti probatorie, richiamate anche per relationem, non consentita in sede di legittimità. E tanto a prescindere dall’ulteriore e decisivo rilievo che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, con esclusione anche del paventato travisamento della prova per omissione che non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, evenienza questa che non appare ricorrere nel caso in esame (Sez. 2, n. 20968 del 06/7/2020, PG C/Noviello, Rv. 279435 – 01).
3.In conclusione, i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili. Poiché appare evidente che i ricorrenti hanno proposto i ricorsi determinando la causa dell’inammissibilità per colpa (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186), essi vanno altresì condannati, a titolo di sanzione pecuniaria, al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma da liquidarsi, tenuto conto dell’elevato grado della predetta colpa, nella misura di Euro tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2023.