Istanza di annullamento in autotutela

In tema di contenzioso tributario, il diniego, espresso o tacito, opposto dall’amministrazione finanziaria all’istanza di variazione della rendita catastale non è qualificabile come diniego di autotutela, ma integra un atto relativo alle operazioni catastali di attribuzione di rendita ed è, quindi, impugnabile dinanzi al giudice tributario ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 546 del 1992.
Cassazione civile sez. VI, 4/11/2021, n.31574

NORME DI LEGGE

Decreto legislativo del 31/12/1992 – N. 546 Art. 19 – Atti impugnabili e oggetto del ricorso.

1. Il ricorso può essere proposto avverso:
a) l’avviso di accertamento del tributo;
b) l’avviso di liquidazione del tributo;
c) il provvedimento che irroga le sanzioni;
d) il ruolo e la cartella di pagamento;
e) l’avviso di mora;
e-bis) l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
e-ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
f) gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell’art. 2, comma 2;
g) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
h) il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
h-bis) la decisione di rigetto dell’istanza di apertura di procedura amichevole presentata ai sensi della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio del 10 ottobre 2017 o ai sensi degli Accordi e delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni di cui l’Italia è parte ovvero ai sensi della Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/436/CEE;
i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado.
2. Gli atti espressi di cui al comma 1 devono contenere l’indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado competente, nonché delle relative forme da osservare ai sensi dell’art. 20.
3. Gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.

GIURISPRUDENZA

Cassazione civile sez. VI, 4/11/2021, n.31574

M.A. e M.G. hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 2 luglio 2019 n. 2874/6/2019, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di diniego di autotutela in relazione all’istanza di riclassificazione catastale di un fabbricato sito in (OMISSIS), ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dei medesimi avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecco il 16 marzo 2018 n. 70/01/2018, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure sul presupposto che il diniego espresso o tacito di autotutela potesse essere impugnato soltanto per eventuali profili di illegittimità del rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire ii ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

Con unico motivo, si denuncia violazione ed errata applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 3, e art. 19, comma 1, lett. f, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che l’istanza di variazione catastale potesse essere qualificata in termini di istanza di autotutela.

Ritenuto che:

1. Il motivo è fondato.

1.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante: Cass., Sez. 5″, 15 luglio 2008, n. 19379; Cass., Sez. 5″, 11 aprile 2011, n. 8165; Cass., Sez. 6-5, 19 marzo 2014, n. 6411; Cass., Sez. 6-5, 13 giugno 2014, n. 13535; Cass., Sez. 6-5, 13 febbraio 2015, nn. 2995 e 3001; Cass., Sez. 5, 21 giugno 2021, n. 176, al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di modificare, senza alcun limite temporale, la rendita proposta con la procedura DOCFA, quando la situazione di fatto o di diritto ab origine denunziata non sia veritiera.

Al riguardo è stato, infatti, evidenziato che il termine di dodici mesi dalla presentazione della DOCFA, fissato dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, art. 1 per la determinazione della rendita catastale definitiva da parte dell’amministrazione finanziaria (eventualmente modificativa della rendita proposta dal contribuente), non ha natura perentoria, ma meramente ordinatoria, costituendo una modalità di esercizio dei poteri per la formazione e l’aggiornamento del catasto (Cass., Sez. 5, 21 luglio 2006, n. 16824; Cass. Sez. 5, 15 luglio 2008, nn. 19379 e 19380; Cass., Sez. 5″, 11 marzo 2011, n. 5843; Cass., Sez. 6-5, 19 marzo 2014, n. 6411; Cass., Sez. 6-5, 13 giugno 2014, n. 13535; Cass., Sez. 6-5, 13 febbraio 2015, n. 2995; Cass., Sez. 6-5, 19 febbraio 2015, nn. 3355 e 3358; Cass., Sez. 5, 13 marzo 2015, n. 5051).

Se, dunque, l’esito del procedimento di classamento è di tipo accertativo e mira solo a fornire chiarezza sul valore economico del bene, attraverso il sistema del catasto, in vista di una congrua tassazione secondo le diverse leggi d’imposta, deve concludersi che quando la situazione di fatto e di diritto ab origine denunziata non sia veritiera il contribuente mantiene il diritto di modificare la rendita proposta all’amministrazione finanziaria.

1.2 Nel vigente sistema tributario la rendita catastale, del resto, non ha mai efficacia costitutiva diretta di alcuna obbligazione fiscale ma solo una efficacia riflessa, ai fini delle imposte sul reddito complessivo, ai fini delle imposte sul patrimonio immobiliare e ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti immobiliari. La rendita catastale non forma oggetto di una dichiarazione annuale del contribuente e non esaurisce la propria efficacia con riguardo ad una singola annualità d’imposta, avendo – al contrario – efficacia pluriennale escludente in radice qualsiasi ipotesi di definitività o irrevocabilità. Avendo la rendita catastale efficacia illimitata nel tempo, altrettanto illimitata deve essere la facoltà del contribuente di presentare istanze di variazione, di rettifica, di correzione. Pertanto, come l’amministrazione finanziaria, senza conseguenze caducazione dei suoi poteri accertativi, può sempre intervenire a rettificare la rendita proposta dal contribuente non vi è ragione per cui quest’ultimo – avvedutosi dell’errore dichiarativo – non possa correggere i propri errori od omissioni ripristinando l’esatto valore secondo il reddito effettivamente retraibile. La non emendabilità di dichiarazioni ab origine inesatte, del resto, finirebbe per cristallizzare nel tempo una imposizione falsata nei suoi presupposti, in contrasto con il principio della capacità contributiva garantito dall’art. 53 Cost..

E’, infatti, principio generale che le dichiarazioni del contribuente che risultino affette da errore di fatto o di diritto sono sempre emendabili e ritrattabili, quando possa derivarne l’assoggettamento e ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Come la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, costituendo essa solo un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria, lo stesso principio va – a maggior ragione – applicato alla dichiarazione di classificazione catastale, che costituisce l’atto iniziale di un procedimento amministrativo di tipo “cooperativo” per la classificazione degli immobili e le rendite da questi prodotte che – per valere come base per il calcolo dell’imposta – debbono essere idonee a rappresentare l’indice di capacità contributiva del cittadino. Tanto in sintonia con la L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 10 (c.d. “Statuto del contribuente”), secondo cui “i rapporti tra contribuente ed amministrazione finanziaria sono improntati al principio di collaborazione e buona fede”, essendo – appunto – conforme a buona fede non percepire somme non dovute, ancorché versate per errore dall’obbligato su dichiarazione da lui stesso effettuata.

1.3 Nessuna preclusione di definitività dell’accatastamento poteva, dunque, essere opposta dall’amministrazione finanziaria alla istanza di variazione presentata dai contribuenti il 30 marzo 2017. Peraltro, l’amministrazione finanziaria persiste ad individuare nell’istanza dei contribuenti una sorta di richiesta di “annullamento in via di autotutela”, ma ciò si deve escludere anche alla luce della qualificazione correttamente fattane dal giudice di prime cure, nei termini, cioè, di una “istanza di variazione della classificazione catastale”, trattandosi di domande prospettabili in qualsivoglia momento proprio perché il procedimento di classamento è di tipo accertativo, con conseguente facoltà del contribuente di chiedere la rettifica della rendita proposta, quando la situazione di fatto o di diritto denunciata non corrisponda al vero (in particolare: Cass., Sez. 6-5, 13 febbraio 2015, n. 2995).

Invero, se l’ordinamento riconosce al possessore dell’immobile il diritto ad una definizione mirata e specifica relativa alla sua proprietà, consegue indubbiamente che, ove il classamento non risulti soddisfacente il privato può ricorrere al giudice tributario, previo il diniego dell’amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 5, 8 settembre 2008, n. 22557).

1.4 Ne’ si può sostenere che il diniego o rifiuto di variazione catastale rientrerebbe nella tipologia degli atti impugnabili soltanto sub specie del diniego espresso o tacito di autotutela, che può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. 5, 28 marzo 2018, n. 7616; Cass., Sez. 5, 24 agosto 2018, n. 21146; Cass., Sez. 5, 26 settembre 2019, n. 24032; Cass., Sez. 5″, 4 dicembre 2020, n. 27806; Cass., Sez. 6-5, 16 marzo 2021, n. 7378).

A tale proposito, il collegio rileva che il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, lett. f, stabilisce che il ricorso può essere proposto avverso “gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nello stesso D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 2”, e quest’ultima disposizione annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti “la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale”. Non vi è, dunque, ragione di escludere dall’ambito degli “atti relativi alle operazioni catastali” di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, lett. f, il tacito o espresso diniego ad una istanza di variazione catastale.

1.5 Pertanto la domanda dei contribuenti di accertamento della nuova rendita va correttamente qualificata come impugnativa, del diniego espresso opposto dall’amministrazione finanziaria alla istanza di variazione catastale avanzata dai contribuenti nel 2005, diniego qualificabile come atto relativo alle operazioni catastali di classamento. In sostanza, con l’istanza del 30 marzo 2017, i contribuenti hanno denunciato l’erroneità della rendita catastale, invitando l’amministrazione finanziaria ad apportare le necessarie correzioni, ma quest’ultima ha opposto un rifiuto, confermando la validità della rendita precedentemente attribuita su proposta del medesimo contribuente. Il provvedimento negativo con il quale l’amministrazione finanziaria ha mantenuto la precedente rendita, rigettando l’istanza di variazione avanzata dai contribuenti, deve considerarsi atto riguardante l’operazione catastale di attribuzione di rendita. A quest’ultimo riguardo, va sottolineato che gli atti catastali sono, tra quelli impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie, gli atti assoggettati alla più ampia “libertà di forma”, non avendo il legislatore definito il nome od il tipo dell’atto nei cui confronti il contribuente è ammesso a proporre ricorso e limitandosi a rinviare alle operazioni catastali ricomprese nella giurisdizione tributaria, cioè a tutti gli atti ad esse operazioni afferenti senza distinguo di sorta. La previsione della generica impugnabilità degli atti catastali va di conseguenza letta nell’ottica del rispetto del diritti di difesa e di tutela giudiziaria contro tutti gli atti idonei a produrre effetti giuridici negativi in capo al contribuente quale è la determinazione della rendita catastale che rappresenta, ai fini di una pluralità di tributi, la misura della capacita contributiva del soggetto passivo con riferimento alla titolarità di un diritto di proprietà su un bene immobile sito nel territorio dello Stato.

Come, dunque, non vi sarebbe ragione precludere al contribuente la possibilità di emendare la denuncia di classamento precedentemente presentata, non vi è ragione di assegnare al diniego dell’amministrazione finanziaria la natura di atto non impugnabile. Per cui, deve essere riconosciuto ad ogni titolare di immobile la facoltà di chiedere una diversa classificazione catastale e quindi una diversa rendita del bene e, ovviamente, in caso di risposta negativa, di rivolgersi al giudice.

1.6 In conclusione, si può ribadire che, in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. f), stabilisce che può essere presentato ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nel medesimo D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 2, norma quest’ultima che annovera nell’oggetto della giurisdizione tributaria tutte le controversie concernenti “l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo (…), nonché quelle, concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale”. L’atto di diniego della variazione catastale emesso a seguito di richiesta del contribuente concerne, senza dubbio, una delle operazioni catastali menzionate nel citato art. 2 – e, in particolare, l’attribuzione della rendita catastale all’immobile posseduto – ed è, quindi, impugnabile dinanzi le commissioni tributarie (Cass., 19379/2008; Cass. 2006/2019; con riferimento al silenzio rigetto: Cass., 3001/2015).

1.7 Nella specie, riqualificando l’atto impugnato in termini di diniego di autotutela, la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria sul presupposto che ne fosse possibile l’impugnazione soltanto per motivi inerenti l’illegittimità del rifiuto. In tal modo, però, il giudice di merito non si è attenuto al principio enunciato, esonerando l’amministrazione finanziaria dall’esame dell’istanza di variazione catastale dei contribuenti.

2. Alla stregua delle precedenti argomentazioni, il ricorso può essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 15 settembre 2021.