Giusto processo e Legge Pinto

Giusto processo:  per la Ragionevole durata del processo il giudice non può detrarre i periodi tra deposito delle sentenze e notifica degli atti di gravame.

In tema di determinazione della durata ragionevole del processo, agli effetti della legge n.89 del 2001, il giudice non può detrarre integralmente dal termine complessivo i periodi intercorrenti tra il deposito delle sentenze di primo e di secondo grado e la notifica dei rispettivi atti di gravame, non essendo addebitabili alle parti i tempi occorrenti per la comunicazione delle stesse sentenze potendosi comunque scomputare i soli lassi temporali non riconducibili all’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, ove la parte, per perseguire un proprio interesse, non si sia avvalsa di una facoltà, come, ad esempio, quella della notificazione della sentenza a sé favorevole, lasciando così decorrere l’intero termine lungo per la proposizione dell’impugnazione, essa non può pretendere che tale termine venga integralmente addebitato all’organizzazione giudiziaria, dovendo il giudice dell’equa riparazione apprezzare in concreto il comportamento processuale della parte stessa anche in relazione alla scelta di non utilizzare detta facoltà sollecitatoria.

Cassazione civile sez. II, 11/11/2022, n.33416.

NORME DI LEGGE

 Legge del 24/3/2001 – N. 89 Art. 2 – (Diritto all’equa riparazione).

1.E’ inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi all’irragionevole durata del processo di cui all’articolo 1-ter.

2.Nell’accertare la violazione il giudice valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il procedimento, nonché’ quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione.

2-bis. Si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione. Si considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni. Il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari.

2-ter. Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.

2-quater. Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa.

2-quinquies. Non è riconosciuto alcun indennizzo:

a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’ articolo 96 del codice di procedura civile ;

b) nel caso di cui all’ articolo 91, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile ;

c) nel caso di cui all’ articolo 13, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 ;

d) in ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato una ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento.

2-sexies. Si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di:

a) dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato, limitatamente all’imputato;

b) contumacia della parte;

c) estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli articoli 306 e 307 del codice di procedura civile e dell’articolo 84 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104;

d) perenzione del ricorso ai sensi degli articoli 81 e 82 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104;

e) mancata presentazione della domanda di riunione nel giudizio amministrativo presupposto, in pendenza di giudizi dalla stessa parte introdotti e ricorrendo le condizioni di cui all’articolo 70 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104;

f) introduzione di domande nuove, connesse con altre già proposte, con ricorso separato, pur ricorrendo i presupposti per i motivi aggiunti di cui all’articolo 43 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 , salvo che il giudice amministrativo disponga la separazione dei processi;

g) irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte.

2-septies. Si presume parimenti insussistente il danno quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali eguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto.

3. Il giudice determina la riparazione a norma dell’articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti:

a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di cui al comma 1;

b) il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell’avvenuta violazione.

GIURISPRUDENZA

Cassazione civile sez. II, 11/11/2022, n.33416.

Decidendo in sede di rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 25821/2019 del 14 ottobre 2019, la Corte d’appello di Perugia ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere in favore di E.G. la somma di Euro 800,00, a titolo di equo indennizzo per l’eccessiva durata della procedura instaurata inizialmente innanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Viterbo.

La Corte, dopo aver rammentato che la domanda di equa riparazione era stata proposta con ricorso depositato nel settembre 2012, ha quantificato l’indennizzo nella misura di cui alla condanna, osservando che:

il giudizio presupposto si era articolato per due gradi, con una durata complessiva di sette anni;

il giudizio di primo grado, instaurato nell’aprile 2004, si era concluso con sentenza del 15 febbraio 2006;

il giudizio di gravame, instaurato in data 14 febbraio 2007, si era concluso con sentenza del 9 agosto 2011;

il giudizio si era quindi protratto per due anni oltre i cinque previsti dalla legge per i due gradi di giudizio, escludendo la frazione ulteriore inferiore ai sei mesi;

– in relazione a tale periodo, era da riconoscersi un indennizzo di Euro 400,00 per ciascun anno di durata superiore a quella ragionevole.

La Corte ha gravato il Ministero della Giustizia delle spese del primo giudizio di merito e del giudizio di legittimità, mentre ha compensato le spese del giudizio di rinvio.

Per la cassazione della decisione della Corte perugina E.G. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo.

Si è costituito il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA con controricorso e ricorso incidentale, anch’esso articolato in un solo motivo.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1, c.p.c..

E’ stata depositata memoria da parte di E.G..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo di ricorso E.G. deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 2-bis, comma 1 e 11 delle preleggi.

Il ricorrente deduce, in primo luogo, l’erronea applicazione retroattiva della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, ad una domanda di equa riparazione depositata in data 6 settembre 2012, nonostante la previsione appena citata -introdotta con il D.L. n. 83 del 2012 (conv. con L. n. 134 del 2012)- sia applicabile ai soli ricorsi depositati dopo il giorno 11 settembre 2012.

Ulteriormente, il ricorso deduce la erronea applicazione dei criteri di determinazione dell’equo indennizzo successivamente introdotti con le modifiche apportate al medesimo la L. n. 208 del 2015, art. 2-bis, comma 1.

Il ricorso, quindi, argomenta la necessità di applicare i criteri di liquidazione seguiti in epoca anteriore ai citati interventi normativi, da ciò desumendo la conseguente possibilità sia di determinare una somma più elevata per la liquidazione di ciascun anno di durata superiore a quella ragionevole sia di riconoscere l’equa riparazione anche per frazioni inferiori all’anno.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2.

Il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA critica la decisione della Corte territoriale per non aver la stessa tenuto conto -nel calcolare l’entità del superamento del termine di durata ragionevole- dell’ampio lasso temporale (quasi un anno) decorso tra il deposito della decisione di primo grado ed il deposito dell’atto di appello avverso detta decisione.

Argomenta, ulteriormente, il ricorso incidentale, la parziale improcedibilità del ricorso di E.G. con riferimento al grado di appello del giudizio presupposto, non avendo il ricorrente indicato la data di notifica del ricorso in appello, il quale costituirebbe il dies a quo per il computo della durata del giudizio.

Deduce, infine, il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA l’assenza in concreto di un danno derivante dalla durata del giudizio, in quanto lo stesso era scaturito dall’emissione a favore di E.G. di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, cui aveva fatto seguito la celere definizione del giudizio di primo grado, laddove -per contro – l’odierno ricorrente aveva omesso di procedere alla notifica della medesima sentenza ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, ed aveva omesso l’adozione di qualsiasi iniziativa acceleratoria.

Va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di improcedibilità sollevata dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in relazione alla mancata indicazione della data della notifica del ricorso in appello nel giudizio presupposto.

Questa Corte, infatti, nella già citata ordinanza n. 25821/2019 del 14 ottobre 2019, aveva rilevato che, nel testo anteriore alla novella del 2012, la L. n. 89 del 2001, art. 3 non prevedeva oneri di produzione documentale a carico della parte istante, dando alle parti la facoltà di chiedere alla Corte d’appello di disporre “l’acquisizione in tutto o in parte degli atti e dei documenti” del giudizio presupposto, da ciò derivando che l’onere della parte istante era limitato alla semplice allegazione dei dati relativi alla sua posizione nel processo (data iniziale di questo, data della sua definizione, eventuale articolazione nei diversi gradi) e non anche alla produzione degli atti posti in essere nel processo presupposto.

L’ordinanza poc’anzi citata aveva, quindi, concluso che, essendosi la parte avvalsa della menzionata facoltà di richiedere alla Corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non le poteva addebitare la mancata produzione documentale degli atti, concludendo che l’onere di allegazione avente ad oggetto la data iniziale del processo presupposto, la data della relativa definizione e l’articolazione nel medesimo nei diversi gradi era stato soddisfatto dall’odierno ricorrente.

Il ricorso è fondato.

Nella determinazione dell’equo indennizzo in favore dell’odierno ricorrente, infatti, il decreto impugnato ha dichiaratamente fatto applicazione della L. n.89 del 2001, art. 2-bis, per di più nella formulazione derivante dalle modifiche apportate dalla L. n. 208 del 2015.

Così facendo, tuttavia, la Corte perugina ha, in primo luogo, optato per un’applicazione retroattiva della citata previsione in contrasto con il dato normativo, in quanto il citato art. 2-bis è stato introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, il cui art. 55, comma 2, prevede espressamente che “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Poiché la legge di conversione (L. 7/8/2012, n. 134) prevede a propria volta l’entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, discende che il citato art. 2-bis trova applicazione ai soli ricorsi depositati dopo il giorno 11 settembre 2012, come peraltro questa Corte aveva osservato nella già richiamata ordinanza n. 25821/2019 che ha cassato il primo provvedimento perugino.

La Corte perugina, in secondo luogo, ha determinato l’entità dell’equa riparazione applicando retroattivamente le modifiche apportate al medesimo la L. n. 208 del 2015, art. 2-bis, comma 1, discostandosi dall’orientamento espresso da questa Corte, a mente del quale in assenza di norme che dispongano diversamente e in forza dell’art. 11 disp. att. c.c., L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1 e 1 ter, introdotti dalla L. n. 208 del 2015 costituiscono uno ius superveniens, che trova applicazione nei soli giudizi introdotti dopo il 1 gennaio 2016 (cfr. Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 25837 del 14/10/2019 – Rv. 655465 01; cfr. altresì Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 14521 del 28/5/2019 – Rv. 654081 – 01).

Fondato è, altresì, il ricorso incidentale, seppur nei limiti che ci si appresta ad illustrare.

La decisione impugnata, infatti, nel determinare l’entità del superamento dei termini di durata ragionevole del processo non si è conformata al principio -già enunciato da questa Corte- a mente del quale in tema di determinazione della durata ragionevole del processo, agli effetti della L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudice non può detrarre integralmente dal termine complessivo i periodi intercorrenti tra il deposito delle sentenze di primo e di secondo grado e la notifica dei rispettivi atti di gravame -non essendo addebitabili alle parti i tempi occorrenti per la comunicazione delle stesse sentenze– ma può scomputare i soli lassi temporali non riconducibili all’esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che ove la parte, per perseguire un proprio interesse, non si sia avvalsa di una facoltà -come, ad esempio, quella della notificazione della sentenza a sé favorevole- lasciando così decorrere l’intero termine lungo per la proposizione dell’impugnazione, essa non può pretendere che tale termine venga integralmente addebitato all’organizzazione giudiziaria, dovendo il giudice dell’equa riparazione apprezzare in concreto il comportamento processuale della parte stessa anche in relazione alla scelta di non utilizzare detta facoltà sollecitatoria (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 26468 del 26/11/2013 -Rv. 628949 – 01, nonché, in precedenza, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5212 del 7/3/2007 – Rv. 599899 – 01).

Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente incidentale, quindi, la Corte perugina non avrebbe dovuto scomputare l’intero lasso temporale tra il deposito della decisione di primo grado ed il deposito del ricorso in appello, ma avrebbe dovuto comunque prendere in considerazione l’indubbia dilatazione dei tempi del giudizio derivante dalla mancata notificazione, da parte dell’odierno ricorrente, della decisione di primo grado a sé favorevole, in modo da determinare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione.

Alla luce delle considerazioni che precedono -ed assorbiti gli ulteriori profili dedotti dalle parti- il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, la quale -nel conformarsi ai principi poc’anzi richiamati- provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2022.